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Guerra diffusa
intervento di Umberto Eco
(da "l'Espresso" n°37 del 12/9/2002)
Non so se sia lecito indulgere in particolari autobiografici
di fronte a un evento che ha sconvolto il mondo, ma mi offro come esempio
normotipo di un cittadino di
questo pianeta. Dunque sono stato sino in tarda età un ipoteso, vale a
dire con pressione molto bassa, al massimo 120, incidente che costa solo
qualche capogiro quando ci si alza da uno scaffale a terra a uno scaffale
alto in una libreria, e per il resto rappresenta una buona assicurazione
sulla vita.
Subito dopo l’11 settembre 2001 ho dovuto iniziare, per impegni presi molto prima, una serie di viaggi
aerei attraverso l'Europa, che è durata sino a metà dicembre. Salivo in
aereo,leggevo le notizie dei giornali, vedevo due sedili più avanti un
signore che, se non era arabo, si era travestito perfettamente da arabo,
riflettevo che se fosse stato un terrorista si sarebbe travestito da
banchiere svizzero, mi calmavo, arrivavo alla meta e guardavo la
televisione, e mi eccitavo di nuovo. Così di seguito per tre mesi. Verso
Natale non mi sentivo bene, ho fatto dei controlli, la mia pressione era
salita a 180 e sono stato definito paziente a rischio. Mi ci sono voluti
tre mesi di cure e diete per ricondurla ai livelli di prima.
Ecco, credo che il mio caso sia
una buona allegoria della situazione del mondo dopo il crollo delle Twin
Towers. La pressione si è alzata nel pianeta, si sono avuti degli ictus
locali (crolli di borsa, sindromi endemiche di panico) e si attende
inconsciamente un attacco più forte. Questo è avvenuto con maggio re
intensità negli Stati Uniti, e per forza, era gente che non aveva mai
subito un attacco suI territorio nazionale (nella guerra d'indipendenza
erano loro che avevano cacciato gli inglesi, persino il dramma di Pearl
Harbour è avvenuto in una zona che era solo politicamente ma non
geograficamente americana). Noi europei dovremmo essere vaccinati perché
di guerre in casa nostra ne abbiamo viste tante, eppure non basta. Non
basta perché fa parte dell'inquietudine generalizzata il fatto che
avvertiamo che il concetto di guerra è radicalmente cambiato.
La Paleoguerra
Nel corso dei secoli il fine di
quella che chiamerò Paleoguerra era quello di sconfiggere l'avversario in
modo da trarre un beneficio dalla sua perdita. Si cercava di realizzare le
nostre intenzioni cogliendolo di sorpresa, si faceva il possibile perché
esso non realizzasse le proprie intenzioni, si accettava un prezzo da
pagare in vite umane per infliggere al nemico un danno maggiore. n gioco
si svolgeva tra due contendenti, ben riconoscibili, uno di fronte
all'altro - e la frontiera era il limite da superare per iniziare a
battere il nemico. La neutralità degli altri, il fatto che dalla guerra
altrui non traessero danno ma se mai profitto, era condizione necessaria
per la libertà di manovra dei belligeranti.
A metà Novecento, una nozione di
"guerra mondiale", tale che potesse coinvolgere anche società
senza storia come le tribù polinesiane, ha eliminato il rapporto tra
belligeranti e neutrali. L 'energia atomica faceva si che, chiunque
fossero i contendenti, da una guerra nucleare era danneggiato l'intero
pianeta. La conseguenza è stata la transizione dalla Paleoguerra alla
Neoguerra attraverso la Guerra Fredda, che stabiliva una tensione di pace
belligerante o belligeranza pacifica (l'equilibrio del terrore), che
permetteva, o rendeva indispensabili., delle forme di paleoguerra
marginali (Vietnam, Medio oriente, stati africani, eccetera). La guerra
fredda garantiva la pace al primo e secondo mondo, a prezzo di alcune
guerre stagionali o endemiche nel terzo.
La Neoguerra
Con l'invasione del Kuwait e la
Guerra del Golfo ci si è subito accorti che la guerra non era più
soltanto tra due fronti separati. Lo scandalo dei giornalisti americani a
Bagdad era in quei giorni pari allo scandalo, di dimensioni ben maggiori,
di milioni e milioni di musulmani filo-irakeni che vivevano nei paesi
dell’alleanza antirakena.
Nelle guerre di un tempo i potenziali nemici venivano internati
(o massacrati), un compatriota che dal territorio nemico parlava delle ragioni dell'avversario veniva, a fine guerra,
impiccato -fu impiccato dagli inglesi John Amery, che attaccava il suo
paese dalla radio fascista, e solo il soccorso degli intellettuali di ogni
paese ha salvato, a prezzo di una conclamata malattia mentale, Ezra Pound.
Nella Neoguerra era incerto chi fosse il nemico. La guerra non era più
frontale, a causa della natura stessa del capitalismo multinazionale. Che
l’Irak fosse stato armato dalle industrie occidentali non era un
incidente, era nella logica del capitalismo maturo, che si sottrae al
controllo dei singoli stati. Gli aerei alleati avevano creduto di
distruggere un deposito di cani al1l1ati o aerei di Saddam e poi si è
scoperto che erano modelli civetta prodotti, e venduti regolarmente a
Saddam, da una industria italiana.
Con le Paleoguerre si
avvantaggiavano le industrie belliche di ciascuno dei paesi belligeranti:
la guerra ingrassava i mercanti di cannoni, e questo guadagno faceva
passare in secondo piano l'arresto provvisorio di alcuni scambi
commerciali. La Neoguerra arricchiva i mercanti di cannoni ma metteva in
crisi le industrie dei trasporti aerei, del divertimento e del turismo,
degli stessi media (che perdevano pubblicità commerciale) e in genere
tutta l'industria del superfluo -ossatura del sistema -dal mercato
edilizio all'automobile. Era dunque indispensabile per una Neoguerra
durare poco, perché prolungarla non giovava a nessuno. Così la neoguerra
non poteva spingersi sino alla vittoria finale; e prova ne sia che Saddam
non è finito a Sant'Elena, né è stato spinto al suicidio dagli agenti
romani, come è accaduto ad Annibale.
Ma la Neoguerra doveva anche
sottostare alle esigenze dell'industria dell'informazione. Con la guerra
del Golfo si è assistito al fatto, per la prima volta nella storia, che i
media occidentali da- vano voce alle riserve e alle proteste non solo dei
rappresentanti del pacifismo occidentale, il papa in testa, ma persino
degli ambasciatori e dei giornalisti dei paesi arabi simpatizzanti per
Saddam. L'informazione dava continuamente la parola all'avversario (mentre
il fine di ogni politica bellica è bloccare la propaganda avversaria), e
demoralizzava i cittadini delle singole parti nei confronti del proprio
governo (mentre Clausewitz ricordava che condizione della vittoria è la
coesione morale di tutti i combattenti).
Ogni guerra del passato si basava
sul principio che i cittadini, (credendola giusta, fossero ansiosi di
distruggere il nemico. Ora I invece l'informazione non solo faceva
vacillare la fede dei cittadini, ma li rendeva vulnerabili di fronte alla
morte dei nemici -s non più evento lontano e impreciso, ma evidenza
visiva insostenibile. Con la guerra del Golfo per la prima volta i
belligeranti compiangevano i nemici.
Peter Arnett trasmetteva le sue
notizie da un hotel di Bagdad e i filo-irakeni protestavano dagli schermi
delle nostre televisioni: chiunque aveva il nemico nelle retrovie.
Quand'anche i media fossero stati imbavagliati, le nuove tecnologie della
comunicazione permettono la circolazione di flussi d'informazione
incensurabili, si veda Al Jazeera oggi. Questo flusso d'informazione
svolge la funzione che nelle guerre tradizionali .svolgevano i servizi
segreti: neutralizza ogni azione di sorpresa -e non è possibile guerra in
cui non si possa sorprendere l'avversario. La Neoguerra istituzionalizzava
il ruolo di Mata Hari e produceva una intelligenza col nemico
generalizzata.
Mettendo in gioco troppi poteri,
spesso in conflitto reciproco. la Neoguerra già non era più un fenomeno
in cui il calcolo e l'intenzione dei protagonisti avesse valore
determinante. Per la moltiplicazione dei poteri in gioco (eravamo davvero
all'inizio della globalizzazione) essa si distribuiva secondo assetti
imprevedibili. Di conseguenza era anche possibile che l'assetto finale
risultasse conveniente per uno dei contendenti ma, in linea di principio,
la guerra era perduta per entrambi.
Il fine della Paleoguerra era
distruggere quanti più nemici fosse possibile, accettando che morissero
anche molti dei nostri. La morte degli altri era pubblicizzata.
magnificata e i cittadini. a casa, dovevano godere e rallegrarsi per ogni
nemico in più che fosse stato distrutto. Con il Golfo si stabiliscono due
principi: non dovrebbe morire nessuno dei nostri e si dovrebbero uccidere
gli avversari il meno possibile. È vero che nel deserto gli iracheni sono
morti in grande quantità. ma il fatto stesso che si cercasse di non
enfatizzare questo dettaglio era già un segno interessante. Di qui l'uso
e la celebrazione delle bombe intelligenti. A molti giovani tanta
sensibilità sarà forse parsa normale, dopo cinquant'anni di pace dovuti
alla benefica guerra fredda. ma riuscite a immaginarvi questa sensibilità
ai tempi in cui le V1 distruggevano Londra e le bombe alleate radevano al
suolo Dresda?
Con la Neoguerra appariva
inaccettabile perdere anche un solo uomo. Si è giunti a celebrare dagli
schermi televisivi militari catturati dal nemico che, per salvare la vita,
avevano acconsentito a farsi interpreti della propaganda nemica (poverini,
si diceva, sono stati costretti a suon di botte -dimenticando il sacro
principio che il soldato catturato non parla neppure sotto tortura). Una
volta liberati costoro sono stati compresi. avvolti da sensi di calda
solidarietà, premiati dalla curiosità mediatica, perché in fondo erano
riusciti a sopravvivere.
I media vendono per definizione felicità e non dolore: i media erano
obbligati a introdurre nella logica della guerra un principio di felicità
massimale o almeno di sacrificio minimale. Ora. una guerra che non debba
comportare sacrificio e si preoccupi di salvare il principio di felicità
massimale, è molto curiosa.
Tutte le caratteristiche della
Neoguerra, profilatesi ai tempi del Golfo, si sono riproposte con la
guerra del Kossovo. I giornalisti occidentali rimanevano a Belgrado,
l’Italia inviava aerei in Serbia e contemporaneamente manteneva
relazioni diplomatiche e commerciali con la Jugoslavia, le televisioni
della Nato comunicavano ora per ora ai serbi quali aerei Nato stessero
lasciando Aviano, agenti serbi sostenevano le ragioni del loro governo
dagli schermi della televisione, una giornalista serba inviava giorno per
giorno corrispondenze anti-Milosevic alla Repubblica. Come bombardare una
città i cui abitanti inviano lettere di amicizia al nemico manifestando
ostilità verso il loro governo? Il conflitto non era frontale e le parti
in gioco non erano separate da una linea retta ma da serpentine
intrecciate.
LA GUERRA DIFFUSA
Con l'Il settembre si verifica un
nuovo ribaltamento della logica bellica. Non parlo della guerra afgana,
curiosa riproposta di un conflitto addirittura ottocentesco, quando le
truppe inglesi venivano attaccate dai ribelli al Kyber Passo. Proprio
perché era l'imitazione di una Paleoguerra, la guerra in Afghanistan non
è servita a nulla -salvo che, proprio come una volta, a qualche
petroliere: se doveva servire a catturare Bin Laden e a neutralizzare Al
Qaeda, l'impresa non è riuscita. Parlo invece della nuova forma di
confronto bellico, la confrontazione, ora in atto, tra mondo occidentale e
terrorismo fondamentalista.
Il terrorismo contro cui ci
confrontiamo oggi non ha nulla a che fare coi piccoli terrorismi locali (Bader
Meinhof, Brigate Rosse, Ira, baschi) che coinvolgeva un solo paese e si
riduceva alla contrapposizione tra la maggioranza dei cittadini e un
gruppo quantitativamente ridotto di persone che alla fin fine venivano
identificate. Il possibile nemico ora è dappertutto, e può essere
legione. In questa nuova fase di Guerra Diffusa si è completamente
dissolto il principio di frontalità. Anche coloro che pensano che il
conflitto opponga il mondo occidentale a quello islamico sanno che in ogni
caso il confronto non è più territoriale. I famosi stati canaglia sono
al massimo punti di appoggio al terrorismo, ma il terrorismo oltrepassa
territori e frontiere. Soprattutto esso sta anche all'interno dei paesi
occidentali. Questa volta e definitivamente il nemico sta solo nelle
retrovie.
Ai tempi ormai remoti della
Neoguerra gli agenti nemici che agivano in casa li si conosceva (tanto è
vero che andavano alla televisione) mentre con la Guerra Diffusa essi
rimangono ignoti (tranne poche individuazioni, sempre in ritardo), girano
con passaporto del paese ospite, i media dei nostri non possono
monitorarli come Peter Arnett monitorava la vita di Bagdad, e del nemico
potenziale non fanno parte soltanto dei soggetti etnicamente stranieri
infiltratisi a casa nostra, ma potenzialmente anche dei nostri compatrioti
-al punto che non è mai stato chiaro se le buste all'antrace erano messe
in circolazione da kamikaze
I musulmani o da gruppi settari
yankee, neonazisti o fanatici di altra specie, tutti oggettivamente (anche
se non intenzionalmente) alleati. Nella Neoguerra i media davano voce alle
opinioni dell'avversario, ma ne controllavano le mosse. Oggi (come era
nella logica dei terrorismi locali) i media non possono dirci chi sono i
nemici che ci minacciano, e se lo dicono di solito sbagliano bersaglio.
Ma non solo. L'atto terroristico
viene compiuto per lanciare un messaggio che appunto diffonda terrore o
almeno inquietudine. Il messaggio terroristico destabilizza anche se
l'impatto è minimo, e a maggior ragione destabilizza se l'obiettivo è un
simbolo "forte". Il proposito di Bin Laden nel colpire le due
torri era creare "il più grande spettacolo del mondo", mai
immaginato neppure dai film catastrofici, dare l'impressione visiva
dell'assalto ai simboli stessi del potere occidentale e mostrare che di
questo potere potevano essere violati i maggiori santuari. Se questo era il
fine di Bin Laden, i mass media sono stati obbligati a enfatizzare il suo
messaggio, collaborando oggettivamente (anche se non intenzionalmente) con
lui, reiterando per mesi, con servizi televisivi, foto, filmati, infiniti
racconti ripetuti di testimoni oculari, a"gli occhi di chiunque
l'immagine di quella ferita. In questo modo i mass media hanno regalato a
Bin Laden miliardi di dollari di pubblicità gratuita -e, a dire il vero,
lo stesso stiamo facendo oggi ("L'Espresso" compreso) nel
rigirare il coltello in una ferita non rimarginata. Eppure non si può
fare diversamente.
La Guerra Diffusa non mette più
di fronte due patrie ma pone in concorrenza infiniti poteri, salvo che
questi vari poteri nelle due Neoguerre precedenti potevano lavorare per
abbreviare il conflitto e indurre alla pace, mentre questa volta rischiano
di prolungare la guerra.
L'ex direttore della Cia ha detto
mesi fa in una intervista a "Repubblica" che paradossalmente il
nemico da bombardare sarebbero state le banche "off shore" e
forse quelle delle grandi città europee. Pochi giorni prima, a una
trasmissione di Vespa, di fronte a una insinuazione del genere (che però
era indebolita dal fatto di venire non dall'ex direttore della Cia ma da
un no-global), Gustavo Selva ha reagito sdegnato, dicendo che è pazzesco
e criminale pensare che le grandi banche occidentali facciano il gioco dei
terroristi. Non era in grado di concepire la vera natura di una Guerra
Diffusa. Certamente l'aveva concepita qualcuno a Washington, e sappiamo
benissimo che in una prima fase gli Stati Uniti avevano pensato di poter
condurre il conflitto paralizzando il terrorismo nei suoi centri
economici. Ma come fai a combattere distruggendo le tue truppe migliori?
Dunque, nella Guerra Diffusa non
contano più le forme militari tradizionali e quelle che potrebbero essere
adeguate (i servizi segreti) appaiono insufficientemente preparati. A
questo punto la contraddizione è massima e massima la confusione sotto il
cielo. Da un lato sono cessate tutte le condizioni per cui si possa
condurre una guerra, perché il nemico si è totalmente mimetizzato, e
dall'altro per poter dimostrare che in qualche modo al nemico si tiene
ancora testa, si debbono costruire simulacri di paleoguerra (per esempio
una invasione dell’Irak), che però servono solo a tenere saldo il
fronte interno, e a fare dimenticare ai propri cittadini che il nemico non
è là dove lo si sta bombardando, ma è tra noi.
Di fronte a questo smarrimento
l'opinione pubblica ha cercato disperatamente di ritrovare l'immagine di
una Paleoguerra possibile, e la metafora è stata quella della crociata,
dello scontro di civiltà, del rinnovato conflitto di Lepanto tra
cristiani e in- fedeli. Messa così sembra una cosa da fumetto, ma il
successo del libro di Oriana Fallaci ci dice che, se fumetto è, viene
letto da molti adulti. n fumetto del conflitto tra civiltà è un
palliativo per dominare l'inquietudine che ci fa salire la pressione.
Sulla impossibilità della
crociata, valga immaginare uno scenario da fantascienza, calcolando che
cosa costi l'equivalente di una nuova crociata. I crociati cristiani non
avevano bisogno del ferro arabo per fare le loro spade, né i musulmani
del ferro cristiano. Oggi invece anche la nostra tecnologia più avanzata
vive sul petrolio, e il petrolio ce l'hanno loro, almeno per la maggior
parte. L'occidente dovrebbe dunque ristrutturare tutta la sua tecnologia
in modo da eliminare il petrolio. Visto che ancora oggi non siamo riusciti
a fare un automobile elettrica che vada a più di ottanta chilometri
all'ora e non impieghi una notte per ricaricarsi, non so quanto tempo
questa riconversione prenderà. E poi non mi stupirei se dei petrolieri
occidentali, pur di continuare a fare profitti, fossero pronti ad
accettare un mondo islamizzato.
Ai tempi delle crociate medievali
i saraceni stavano da una parte, oltremare, e i cristiani dall'altra. Oggi
invece l'Europa è piena di islamici, che parlano le nostre lingue e
studiano nelle nostre scuole. Se già oggi alcuni di loro si allineano coi
fondamentalisti di casa loro, immaginiamoci se si avesse il confronto
globale. Avremmo (ma in parte l'abbiamo già) la prima guerra col nemico
non solo sistemato in casa ma assistito dalla mutua.
Se il conflitto si radicalizza
oltre misura si avrà la caccia al musulmano. Una sorta di Vespri
Siciliani: si prende chiunque abbia i baffi e la carnagione non
chiarissima e lo si sgozza. Ma si tratta ora di ammazzare non centinai
bensì milioni e milioni di persone. Oppure si catturano tutti, come i
giapponesi residenti in America dopo Pearl Harbour, e li si mette... Dove?
Si avrebbe bisogno di spazio, organizzazione, sorveglianza, cibo e cure
mediche insostenibili, senza contare che quei campi sarebbero delle
bombe pronte a esplodere. Oppure li si prende, tutti (e guai se ne resta
appena uno, e bisogna farlo subito, in un colpo solo), li si carica su una
flotta di navi da trasporto e si scaricano... Dove? L'unica soluzione
sarebbe quella degli scafisti,li si buttano a mare. Milioni di cadaveri a
galla sul Mediterraneo. Altro che "desaparecidos", persino Hitler
massacrava poco alla volta e di nascosto. Ma anche in questo caso (fantascientitico)
si creerebbero all'interno dello schieramento occidentale gruppi
filoislamici non per fede ma per opposizione alla guerra, nuove sette che
rifiutano la scelta dell'occidente, ghandiani che incrocerebbero le
braccia e si rifiuterebbero di collaborare coi loro governi, fanatici come
quelli di Waco che inizierebbero a scatenare il terrore per purificare
l'occidente corrotto. Si creerebbero per le strade di Europa cortei di
oranti che attendono disperati e passivi l’Apocalisse. Quanto si
identificherebbero ancora con l'occidente i neri di Harlem, i diseredati
del Bronx, i "chicanos" della California? Che cosa farebbero i
paesi dell'America Latina, dove molti, senza essere musulmani, hanno
elaborato sentimenti di rancore verso i "gringos", tanto che
anche laggiù, dopo la caduta delle due torri, c'è chi sussurra che i
gringos se la sono cercata?
Quindi la Guerra Diffusa si
presenta come una Fenice capace di risorgere continuamente dalle proprie
ceneri e di riproporre a ogni eventuale (e impossibile) sconfitta, la sua
continua rigenerazione. Continuando con le previsioni fantascientifiche,
si produrrebbe uno scenario che ricorderebbe (e renderebbe reali) i film
di Conan il Barbaro.
Rinunciamo allora al fumetto del
confronto di civiltà. Abbiamo risolto qualcosa? No, la Gerra Diffusa c'è
già e continua.
Ecco in che senso 1'11 settembre
ha cambiato il mondo e ne ha elevato la pressione arteriosa. La nostra
inquietudine permanente è dovuta al fatto che tutte le soluzioni
possibili sono impossibili, perché erano state pensate e sperimentate sul
modello della Paleoguerra, che non c'è più. Non conosciamo ancora
terapie per questo virus. Per questo siamo inquieti, angosciati da una
malattia che non ha neppure il confortevole vantaggio di annunciarsi
"terminale".
torna allo speciale 11 Settembre
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